Non credo che qualcuno possa rallegrarsi
per quanto oggi sta accadendo nella Chiesa. Abbiamo tutti - credo -
solo motivi per rattristarci, anche se, come accade in ogni famiglia, i
rapporti di prossimità più stretti comportano sempre un grado di
coinvolgimento personale molto più grande, per le gioie e per le
sofferenze. Poiché da sempre ho considerato la comunità ecclesiale come
la mia famiglia, cerco di essere sempre attento a non darle troppi
dispiaceri e mi aspetto un analogo comportamento dai fratelli nella
fede. So bene che la Chiesa non è primariamente una "comunità etica" e
che quanti ne fanno parte non vi sono stati chiamati perché erano i
migliori; ci mancherebbe altro! Gesù Cristo ha designato a guidare
questa "comunità anomala" una persona che originariamente era davvero
poco affidabile; che non ha esitato a mentire e tradirlo, per di più
dopo essere stato messo sull'avviso. Scegliendo Pietro - ho sempre
pensato - è come se Lui avesse voluto dirmi: nella comunità che io ho
fondato c'è posto per tutti (anche se ad alcune condizioni), quindi
anche per te!
L'appartenenza cristiana è figlia di una
chiamata e di una risposta: una vita esemplare dovrebbe essere parte
della risposta, non della chiamata. Il problema è che questa risposta
qualche volta c'è e si vede, qualche altra volta - purtroppo - c'è ma
non si vede. Fin qui potremmo ritenerci abbastanza soddisfatti. Il
problema è che si danno almeno altre due possibilità che feriscono
profondamente il nostro cuore: molte volte - soprattutto in passato - la
risposta esemplare della vita non c'è e non si vede, qualche volta -
soprattutto oggi - non c'è e si vede.
Queste due ipotesi ci portano a
considerare la trasparenza come un passo avanti nella maturazione
spirituale e istituzionale della Chiesa. È vero, in alcuni casi la
trasparenza sembra non tanto voluta, quanto subìta dalle circostanze e
dalla pressione dei media. La Chiesa che sogno è quella che non pone
riparo alle proprie insufficienze perché vi è costretta dai giornalisti o
dall'opinione pubblica o dalla legislazione internazionale. Sogno una
Chiesa che arrivi a fare gesti coraggiosi e profetici almeno un minuto
prima che la scienza, la cultura, il diritto o semplicemente il buon
senso lo richiedano. Sogno una Chiesa che onori sempre, a ogni livello
della sua vita straordinaria e ordinaria, il primato della comunione:
non solo quando le ferite sono sanguinanti e siamo giustamente tutti
chiamati a considerarle come nostre, ma anche quando si prendono
decisioni importanti o ci si arrende facilmente alle adulazioni della
mediocrità e del carrierismo mascherate di ortodossia.
Mi ha particolarmente colpito, in questi giorni, la riflessione - saggia, quindi rara - di Giorgio Bernardelli (http://www.vinonuovo.it/index.php?l=it&art=870)
il quale, chiedendosi quale sia veramente la "famiglia del Papa",
invita tutti a non perdere l'occasione del prossimo incontro mondiale
delle famiglie «per
riscoprire che la Chiesa è una famiglia» e a imparare «che, come in
famiglia, anche nella Chiesa non può esserci un noi e un
loro». Forse la Chiesa può fare a meno di uno Ior, ma non di questa semplice verità.
Luigi Alici
Luigi Alici
Fonte: